2012/11/16

LE TERME DI SANTA CATERINA, 25 ANNI DOPO, SIMBOLO DI UNA CITTA' DECADENTE

Le Terme di Santa Caterina, venticinque anni e un giorno dopo, simbolo di una città decadente

Il 14 novembre del 1987 veniva inaugurato lo stabilimento di Santa Caterina delle Terme di Acireale. A tagliare il nastro augurale la signora Mad Nicolosi, moglie del Presidente della Regione di allora, l’acese Rino Nicolosi, poi scomparso prematuramente nel 1998. Erano altri tempi, in cui era in itinere la realizzazione di una vera e propria città termale (incaricati del progetto erano stati gli ingegneri Paolo Pennisi e Aldo Sciaccianoce); le Terme marciavano a gonfie vele e l’apertura di un nuovo stabilimento significava poter aumentare la capacità di erogare servizi e prestazioni fino a 3.500 trattamenti fango-terapici e balneo-terapici, oltre a 651 trattamenti di fisiochinesiterapia e 154 trattamenti di pneumoterapia al giorno; l’Acqua Pozzillo, di proprietà delle Terme, operava discretamente bene in un mercato che dalle acque minerali si stava lentamente estendendo fino alle bevande analcoliche.
 Ad onor del vero, erano anche tempi in cui c’erano molti più denari pubblici (il progetto complessivo della città termale era stato programmato per un importo di 50 miliardi delle vecchie lire); alle maggiori risorse disponibili si accompagnavano pure maggiori sprechi e le conseguenti clientele; crescevano a dismisura i costi e le disfunzioni etiche della politica. Eppure si aveva come la sensazione che nulla fosse lasciato al caso e che ci stava un progetto ben preciso dietro all’idea di affiancare allo storico edificio di Santa Venera (voluto nel 1873 dal barone Agostino Pennisi di Floristella) un altro stabilimento più moderno e funzionale, che si articolava su due fabbricati.
Il progetto, ambizioso come elevate erano le ambizioni di Rino Nicolosi, era quello di dar vita ad una vera propria città termale che fondamentalmente abbracciasse buona parte della riviera jonica acese, con la pretesa poi di estendersi a tutto il resto del litorale jonico, quello del Mare dell’Etna per intenderci. “Un’area di circa trenta ettari con viabilità di penetrazione, parcheggi, padiglioni per attività operative, residence, scuola alberghiera, albergo congressuale, un centro congressi di circa tremila posti, uno dei più grandi della Sicilia, un palazzetto dello sport, palestre, piscine, campi da tennis, attrezzature ricreative e parco giochi” così scriveva il settimanale Il Gazzettino del Sud a pochi giorni dall’inaugurazione, riprendendo stralci del programma letto dal presidente delle Terme.
Forse non tutto andò per il verso giusto; si narra che Acireale subì il progetto dell’edificio di Santa Caterina imposto dai dirigenti della Regione Siciliana ancor prima che Rino Nicolosi potesse far valere tutte le sue prerogative istituzionali di forte e autorevole capo del governo. Forse quello stabilimento appariva un po’ sovradimensionato, come sproporzionate erano sembrate le dimensioni della nuova stazione ferroviaria di Acireale da poco inaugurata, in sostituzione di quella storica situata proprio di fronte al Parco delle Terme di Santa Venera, un tempo punto di approdo per i tanti viaggiatori che si fermavano nella cittadina barocca per beneficiare delle prestazioni salutistiche delle miracolose acque di Santa Venera. Può darsi che sicuramente ci sia stato un eccesso, ci sia stata una mania di grandezza e che i fiumi di denaro pubblico favorirono più unità di intenti fra i partiti di quanta non ci sia adesso, dato che la politica è lacerata da divisioni, contrapposizione e perfino faide interne agli stessi gruppi.
Non si può dire però che quella generazione politica non avesse idee e non stesse pensando ad un progetto ben preciso per Acireale. Il progetto di una città che alla dimensione culturale e naturalistica avrebbe affiancato quelle del salute e del benessere. Un sogno? Un’utopia o veramente un progetto? Quel progetto che manca oggi ad Acireale. Quel progetto che è difettato nel corso di buona parte degli ultimi venticinque anni. Anni in cui si sono succeduti vari commissariamenti alla guida delle Terme, frammentando così per volere della Regione l’azione di governo di una grande azienda del territorio; anni in cui non si è compreso che il mercato stava cambiando, passando dal termalismo sociale convenzionato ad altri bisogni legati al benessere da soddisfare prontamente per non rimanere tagliati fuori; anni in cui occorreva “fare la voce grossa” a Palermo e chiedere alla burocrazia regionale di completare quel progetto, assicurando alle Terme di Acireale gli investimenti infrastrutturali necessari per mantenere vitale la sua funzione di centro termale;  anni in cui bisognava programmare uno sviluppo del termalismo integrato ad un piano di sviluppo socio-economico del turismo di Acireale e, perché no, di un territorio anche più ampio. Piano che non c’è mai stato, perché – è inutile prendersi in giro –sicuramente non di piano sono le azioni contenute nei documenti di programmazione negoziata (PIT 30 e Patto delle Aci) ma esse appaiono piuttosto come la stratificazione, avvenuta in momenti diversi, di sporadiche iniziative private legate più agli interessi di qualcuno che ad una visione condivisa del bene comune.
Non c’è stato piano perché la classe politica (non importa più a questo punto se di sinistra, destra o di centro vetero-democristiano) ha difettato in capacità di visione, progettuale e propositiva; non ha saputo scegliere gli uomini migliori, ma, anche quando ha finto di investire sui giovani, ha puntato  solo sulle persone capaci di portare molti voti; ha finito, con i propri comportamenti leziosi e rinunciatari, per trasformare la cosa pubblica in un pezzo di formaggio groviera nei cui fori si è depositata stabilmente la muffa del malaffare, dell’affare sbrigativo mordi e fuggi, dell’opportunismo affaristico di alcuni pseudo-imprenditori venuti da fuori città. Tutto a discapito del cosiddetto bene comune.
Venticinque anni dopo, mentre anche le Terme di Santa Caterina cadono giù a pezzi, attendendo la mano risanatrice del privato di cui non si conoscono l’identità né le intenzioni, recriminando ancora una volta contro la politica regionale rea di aver abbandonato Acireale e le sue Terme, confidando nel salvatore della “res pubblica” di volta identificato nel potente di turno e questa volta individuato nel neo Presidente Crocetta; venticinque anni dopo, dicevamo,  anche nella politica acese è caccia all’uomo, guerra fra i poveri fino all’ultimo sospetto, per sapere e capire chi ha voluto tutto questo. Chi ha portato la città alla decadenza.
Tutto questo non si saprà mai, e ammesso che si verrà a scoprire sarà troppo tardi. Adesso la città dovrà dimostrare uno scatto d’orgoglio e riprendere in mano la situazione attraverso un nuovo patto di ferro tra la politica buona e la società civile attiva. Non importano più i colori, non servono più i padrini politici. Occorre un patto sociale che registri un momento di grande discontinuità nel fare politica ad Acireale. Occorrono nuovi leader. Altrimenti sarà buio fitto.
Saro Faraci

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