Le Terme di Santa Caterina, venticinque anni e un giorno dopo, simbolo di una città decadente
Il 14 novembre del 1987 veniva inaugurato
lo stabilimento di Santa Caterina delle Terme di Acireale. A tagliare
il nastro augurale la signora Mad Nicolosi, moglie del Presidente della
Regione di allora, l’acese Rino Nicolosi, poi scomparso prematuramente
nel 1998. Erano altri tempi, in cui era in itinere la realizzazione di
una vera e propria città termale (incaricati del progetto erano stati
gli ingegneri Paolo Pennisi e Aldo Sciaccianoce); le Terme marciavano a
gonfie vele e l’apertura di un nuovo stabilimento significava poter
aumentare la capacità di erogare servizi e prestazioni fino a 3.500
trattamenti fango-terapici e balneo-terapici, oltre a 651 trattamenti di
fisiochinesiterapia e 154 trattamenti di pneumoterapia al giorno;
l’Acqua Pozzillo, di proprietà delle Terme, operava discretamente bene
in un mercato che dalle acque minerali si stava lentamente estendendo
fino alle bevande analcoliche.
Ad onor del vero, erano anche tempi in
cui c’erano molti più denari pubblici (il progetto complessivo della
città termale era stato programmato per un importo di 50 miliardi delle
vecchie lire); alle maggiori risorse disponibili si accompagnavano pure
maggiori sprechi e le conseguenti clientele; crescevano a dismisura i
costi e le disfunzioni etiche della politica. Eppure si aveva come la
sensazione che nulla fosse lasciato al caso e che ci stava un progetto
ben preciso dietro all’idea di affiancare allo storico edificio di Santa
Venera (voluto nel 1873 dal barone Agostino Pennisi di Floristella) un
altro stabilimento più moderno e funzionale, che si articolava su due
fabbricati.
Il progetto, ambizioso come elevate erano
le ambizioni di Rino Nicolosi, era quello di dar vita ad una vera
propria città termale che fondamentalmente abbracciasse buona parte
della riviera jonica acese, con la pretesa poi di estendersi a tutto il
resto del litorale jonico, quello del Mare dell’Etna per intenderci.
“Un’area di circa trenta ettari con viabilità di penetrazione,
parcheggi, padiglioni per attività operative, residence, scuola
alberghiera, albergo congressuale, un centro congressi di circa tremila
posti, uno dei più grandi della Sicilia, un palazzetto dello sport,
palestre, piscine, campi da tennis, attrezzature ricreative e parco
giochi” così scriveva il settimanale Il Gazzettino del Sud a pochi
giorni dall’inaugurazione, riprendendo stralci del programma letto dal
presidente delle Terme.
Forse non tutto andò per il verso giusto;
si narra che Acireale subì il progetto dell’edificio di Santa Caterina
imposto dai dirigenti della Regione Siciliana ancor prima che Rino
Nicolosi potesse far valere tutte le sue prerogative istituzionali di
forte e autorevole capo del governo. Forse quello stabilimento appariva
un po’ sovradimensionato, come sproporzionate erano sembrate le
dimensioni della nuova stazione ferroviaria di Acireale da poco
inaugurata, in sostituzione di quella storica situata proprio di fronte
al Parco delle Terme di Santa Venera, un tempo punto di approdo per i
tanti viaggiatori che si fermavano nella cittadina barocca per
beneficiare delle prestazioni salutistiche delle miracolose acque di
Santa Venera. Può darsi che sicuramente ci sia stato un eccesso, ci sia
stata una mania di grandezza e che i fiumi di denaro pubblico favorirono
più unità di intenti fra i partiti di quanta non ci sia adesso, dato
che la politica è lacerata da divisioni, contrapposizione e perfino
faide interne agli stessi gruppi.
Non si può dire però che quella
generazione politica non avesse idee e non stesse pensando ad un
progetto ben preciso per Acireale. Il progetto di una città che alla
dimensione culturale e naturalistica avrebbe affiancato quelle del
salute e del benessere. Un sogno? Un’utopia o veramente un progetto?
Quel progetto che manca oggi ad Acireale. Quel progetto che è difettato
nel corso di buona parte degli ultimi venticinque anni. Anni in cui si
sono succeduti vari commissariamenti alla guida delle Terme,
frammentando così per volere della Regione l’azione di governo di una
grande azienda del territorio; anni in cui non si è compreso che il
mercato stava cambiando, passando dal termalismo sociale convenzionato
ad altri bisogni legati al benessere da soddisfare prontamente per non
rimanere tagliati fuori; anni in cui occorreva “fare la voce grossa” a
Palermo e chiedere alla burocrazia regionale di completare quel
progetto, assicurando alle Terme di Acireale gli investimenti
infrastrutturali necessari per mantenere vitale la sua funzione di
centro termale; anni in cui bisognava programmare uno sviluppo del
termalismo integrato ad un piano di sviluppo socio-economico del turismo
di Acireale e, perché no, di un territorio anche più ampio. Piano che
non c’è mai stato, perché – è inutile prendersi in giro –sicuramente non
di piano sono le azioni contenute nei documenti di programmazione
negoziata (PIT 30 e Patto delle Aci) ma esse appaiono piuttosto come la
stratificazione, avvenuta in momenti diversi, di sporadiche iniziative
private legate più agli interessi di qualcuno che ad una visione
condivisa del bene comune.
Non c’è stato piano perché la classe
politica (non importa più a questo punto se di sinistra, destra o di
centro vetero-democristiano) ha difettato in capacità di visione,
progettuale e propositiva; non ha saputo scegliere gli uomini migliori,
ma, anche quando ha finto di investire sui giovani, ha puntato solo
sulle persone capaci di portare molti voti; ha finito, con i propri
comportamenti leziosi e rinunciatari, per trasformare la cosa pubblica
in un pezzo di formaggio groviera nei cui fori si è depositata
stabilmente la muffa del malaffare, dell’affare sbrigativo mordi e
fuggi, dell’opportunismo affaristico di alcuni pseudo-imprenditori
venuti da fuori città. Tutto a discapito del cosiddetto bene comune.
Venticinque anni dopo, mentre anche le
Terme di Santa Caterina cadono giù a pezzi, attendendo la mano
risanatrice del privato di cui non si conoscono l’identità né le
intenzioni, recriminando ancora una volta contro la politica regionale
rea di aver abbandonato Acireale e le sue Terme, confidando nel
salvatore della “res pubblica” di volta identificato nel potente di
turno e questa volta individuato nel neo Presidente Crocetta;
venticinque anni dopo, dicevamo, anche nella politica acese è caccia
all’uomo, guerra fra i poveri fino all’ultimo sospetto, per sapere e
capire chi ha voluto tutto questo. Chi ha portato la città alla
decadenza.
Tutto questo non si saprà mai, e ammesso
che si verrà a scoprire sarà troppo tardi. Adesso la città dovrà
dimostrare uno scatto d’orgoglio e riprendere in mano la situazione
attraverso un nuovo patto di ferro tra la politica buona e la società
civile attiva. Non importano più i colori, non servono più i padrini
politici. Occorre un patto sociale che registri un momento di grande
discontinuità nel fare politica ad Acireale. Occorrono nuovi leader.
Altrimenti sarà buio fitto.
Saro Faraci
Nessun commento:
Posta un commento